Andy Warhol "lo slovacco", cento opere, alcune mai viste di Fabiana MENDIA
Il Colosseo come corona per Andy Warhol. Il simbolo di Roma antica in testa al re della Pop Art e star assoluta dell’arte a New York negli anni ’60 e ‘70. L’Anfiteatro Flavio color oro montato su un suo ritratto in un’opera di Daniel Brogyànyi crea un divertente impatto alla mostra “Andy Warhol lo slovacco”, che apre oggi a Palazzo Incontro (gratuita), organizzata dalla Provincia, dedicata all’artista che con lucidità e ironia concettuale ha colto l’essenza dell’”americanità”. Una rassegna per ricordarlo a venti anni dalla sua scomparsa e che ha raccolto un centinaio di opere, tutte provenienti dal Museo Warhol di Medzilaborce e dalla Galleria Nazionale Slovacca di Bratislava, molte delle quali mai esposte prima. “Personali e retrospettive su di lui-spiega Miroslav Musil, direttore dell’Istituto Slovacco di Roma- ne sono state organizzate tante negli ultimi anni, ma nessuna finora si è concentrata sulle sue radici. Il fratello di Andy, Paul, mi disse quando lo andai a trovare a Pittsburg, che spesso da bambini interrogavano la mamma Julia sulle loro origini: Polacche, Ceche, Russe”. Il suo giubbotto in pelle di serpente, un antifonario con i suoi occhiali e la sua macchina fotografica aprono il percorso espositivo. Icone-feticci per un inventore di immagini-cult, come la Coca-Cola, la minestra Campbell, le scatole Brillo, i biglietti da un dollaro, le pose dei divi di Hollywood, che campeggiano in una vetrina e annunciano un’occasione unica per approfondire la sua vita familiare. Tra i “classici”, le serigrafie dedicate alla serie “Falce e martello”, la “Monna Lisa”, “Last Supper”, “Electric chair”.