Un fatto senza nessuna importanza. Una donna versa del latte in un recipiente, un gesto quotidiano, insignificante. Non è l'espressione, né il suo ritratto ad attrarre, ma il modo in cui è dipinto. Sono folgoranti le capacità camaleontiche del pennello di Johannes Vermeer nell'usare i colori chiari che invadono la stanza dove sta ferma, immobile "La Lattaia" (1660 circa), simbolo stesso dell'Olanda dai primi del '900. Ha cercato di rendere la vibrazione della luce con innumerevoli piccoli punti, una sorta di "pointillisme", studiato poi nell'Ottocento dai post-impresionisti. Grumi e filamenti di luce che restituiscono con cristallina lucidità l'essenza ottico visiva della realtà e si accendono come fiammelle che interrompono le zone d'ombra e diffondono la luce nella stanza. Danno un po'di gioia, di vita alla magica atmosfera di silenzio. Il movimento forse lo dà la linea verticale del latte che cola o le linee curve del pane, della brocca, della ciotola. "La lattaia" è una donna ordinaria, né bella, né elegante, non un viso particolarmente attraente, indossa un abito giallo.
E' monumentale e dolce allo stesso momento, si staglia girando la spalla sinistra contro il muro bianco dipinto a calce. Il suo metodo infallibile nella tecnica dei colori, nelle inquadrature ravvicinate di interni domestici, con signore che vestono la stessa mantellina gialla con i bordi di pelliccia ("La suonatrice di chitarra", Ragazza con collana di perle", "La lettera d'amore"), lo resero celebre a Delft, la città natale dove il padre, tessitore, aprì "La volpe volante", la locanda che in breve tempo ospitò aste e mostre d'arte. Qui, il giovane pittore prese confidenza con la pittura di Leyda, di Amsterdam e con gli autori italiani. Una vita non segnata da grandi passioni, da cambiamenti improvvisi. Dipinge i suoi trentaquattro capolavori, al ritmo di uno, due l'anno, al primo piano della casa di proprietà della suocera, dove vive con la moglie Catharina e gli otto figli. Ma in questo piccolo mondo, la sua anima sprigiona una pittura intensa e piena di segreti. La storia della sua breve vita (muore nel 1675 a quarantatrè anni) conferma Vittorio Sgarbi, nella decima monografia da domani in edicola, è raccontata nei suoi quadri.
L'impressione di monotonia che si legge ne "Il Concerto", l'isolamento dei suoi personaggi chiusi in uno spazio privato accanto a finestre che irradiano luce, ma che non lasciano scorgere la città e la natura. I muri che assumono un'importanza primaria e non permettono allo sguardo di andare oltre, sono fondali per appendervi carte geografiche e quadri. Il quadro nel quadro, non è un'invenzione veermeriana, ma disorienta il suo farci capire che ha un senso, e tuttavia ci impedisce di comprenderne chiaramente il significato. "Il Giudizio Universale" alle spalle de "La Pesatrice di perle". E' una metafora o una metonimia? Al di là del significato, allegorico o simbolico, i veri attori della messa in scena sono quel giallo e quel blu. TORNA AGLI ARTICOLI