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Tassi, un ceffo prestato all'arte di Fabiana MENDIA

Il dramma di una passione folle che si consuma a Roma nel 1611 nell’atelier di un pittore a servizio di cardinali e di papi, la cui notorietà viene esaltata da un episodio negativo. Agostino Tassi sale alla ribalta nella Città Santa per lo stupro di Artemisia Gentileschi, figlia del suo compagno di lavoro Orazio, e diventa protagonista di un lungo processo in cui alla fine viene riconosciuto colpevole, nonostante porti in aula anche testimoni falsi, e condannato a cinque anni di carcere (pena ridotta a pochi mesi).

Ma prima di allora, non si contano i rapporti di polizia, gli interrogatori, le denuncie a suo carico per insulti e percosse a cortigiane, partecipazioni a risse per le strade e nelle taverne, in un’epoca in cui i vicoli del quartiere degli artisti erano luoghi malfamati tra i più temibili d’Europa, le notti le più violente della cristianità e le risse tra clan (toscani contro bolognesi, napoletani contro romani) favorivano le gelosie professionali. Insomma, un vero ceffo, un mascalzone senza scrupoli (ebbe il coraggio per calmare il padre di promettere di sposare Artemisia, ma aveva già moglie), un “mal huomo, mal cristiano e senza timor di Dio”a detta di un suo apprendista, che però aveva talento e seppe, appena arrivato a Roma da Livorno nel 1610, ingraziarsi Paolo V Borghese e il nipote, il cardinale Scipione. Più celebre per la sua attività di quadraturista accanto ai maggiori pittori nel primo trentennio del XVII secolo, tra cui Guercino, Domenichino e Lanfranco, una rassegna che dura tutta l’estate con trenta opere, provenienti soprattutto da collezioni private italiane e francesi, al Museo Nazionale di Palazzo Venezia, lo valorizza anche come autore di paesaggi, di “capricci”, di architetture, di vedute realistiche, di temi marini come tempeste, naufragi, pesche di coralli.

“E’ il primo pittore italiano che ha rinunciato a dedicarsi alla pittura di figure- afferma Patrizia Cavazzini, curatrice della mostra. E’ abile nell’attingere al repertorio di artisti fiamminghi, come Bril, Elsheimer, Brueghel il vecchio,Vroom e di combinarli con la tradizione narrativa italiana che lo portano a firmare paesaggi di intonazione fiabesca e rappresentazione di soggetti oscuri”. La sua esperienza di “uomo di mare”, imbarcato su galere che partivano da Genova e Livorno, città dove trascorse lunghi periodi prima di trasferirsi a Roma, Agostino la racconta con le inquadrature ravvicinate di navi in secca o travolte dalle burrasche, chiamate “Fortune di mare”, con le vele gonfie o inverosimilmente arricciate.
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