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Mimmo Paladino di Fabiana MENDIA

Il cavallo in tufo con un’anima d’acciaio e incastri di ottone, vetro e un piccolo frammento di mosaico d’oro, alto quattro metri e settanta di Mimmo Paladino troneggia sulla terrazza del Madre, il museo di Arte Donna Regina, nel quartiere Vicaria di Napoli. “Un’installazione che diverrà il nuovo simbolo della città”. Si augura il presidente della regione Antonio Bassolino, felice di inaugurare il lavoro dell’artista che dominerà in permanenza la facciata del palazzo in via Settembrini. Nel cortile, invece, temporaneamente ha esposto i suoi “Sette Scudi”, immense strutture metalliche che richiamano i miti sanniti e raccolgono nella superfice concava sia oggetti di uso quotidiano che le bombette di Magritte rappresentate ripetutamente nella tela “Golconde”. Se Paladino, maestro della Transavanguardia, è stato invitato da Eduardo Cycelin e Mauro Codognato a presentare i suoi ultimi lavori per dominare l’esterno, duecento opere (tra documenti, fotografie, documenti) di Piero Manzoni, uno dei massimi protagonisti dell’avanguardia degli anni Sessanta, sono stati raccolti da Germano Celant, per offrire una rilettura del percorso creativo dal 1956 al 1963.
La lunga successione di opere, essenzialmente monocrome, del maestro milanese, nato a Soncino nel 1933 e morto a soli trent’anni a Milano, è accompagnata dalle testimonianze di Fautrier, Burri e Fontana che lo hanno fortemente influenzato e dai lavori di quegli artisti con i quali ha avuto intensi rapporti dialettici come Castellani, Klein, Mack, fondamentali, soprattutto per comprendere il contesto culturale dell’epoca. Non ci sono gli ominidi neri dei suoi esordi, ma si parte dall’esperienza della galleria autofinaziata “Azimuth” in cui nacque l’affermazione totalitaria “Non c’è nulla da dire, c’è solo da essere , c’è solo da vivere”. Manzoni da questo momento incomincia a rappresentare il mondo attraverso una serie statica di quadri. Nascono opere anomale per i tempi: gli “Achrome”, tele imbiancate con il caolino, superfici costituite da batuffoli di ovatta, sassi o palline di polistirolo o panini che denunciavano l’inutilità del quadro. Invita nella sua galleria, nel celebre evento “Divorare l’arte”, il pubblico a consumare delle uova sode bollite sul posto, su cui aveva pressato la sua impronta. Commestibili opere d’arte che rimandano alle performance delle serate di Cucina Futurista.
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