Discussioni animate, risate, chiacchiere, motteggi e scherzi fino all’alba. Nuvole di sigarette e sigari consumati mentre si sorseggiano bicchierini d’assenzio. Belle e allegre ragazze da frequentare dentro e fuori le locande come amiche, amanti e modelle. Un aspetto della Ville Lumière di notte a metà dell’800. Ai caffè Guerbois, in rue des Batignolles e a “La Nouvelle Athènes”, tra place Pigalle e il boulevard, Claude Monet era solito andarci dal tardo pomeriggio in poi. Raggiungeva Renoir, Sisley e Bazille con i quali frequentava le lezioni di Gleyre, dove si poteva disegnare da modello vivente tutti i giorni.
Quando il 19 luglio 1870 la Francia dichiara guerra alla Germania Monet parte per Londra. Una fuga ragionata per studiare i paesaggi fluviali e i ponti sfocati e poco definiti dalle nebbie atlantiche. Si invaghisce di Turner. L’estate la trascorre in Olanda dove dipinge e compra stampe giapponesi. Non si stabilisce subito a Parigi: con la moglie Camille sceglie la quiete della campagna di Argenteuil. Si sposta a Le Havre e nel 1872 dipinge quella piccola tela, che due anni dopo l’esecuzione, derisa e incompresa dalla critica e dal pubblico, darà l’avvio alla favola dell’Impressionismo.
“Impression: soleil levant”. Un affronto estetico per Louis Leroy. Tra i centosessantatre dipinti, acquerelli e disegni di Cézanne, Degas, Berthe Morisot, Renoir, Sisley, Pissarro, esposti nello studio del fotografo Nadar, fu scelto dal giornalista del periodico satirico “Charivari”come simbolo di un’opera che non è pittura, ma “impressionismo”. Scrive: “Quale libertà, quale sapiente disinvoltura! La carta da parati nella fase embrionale è più rifinita di questa marina !”. E’ una dichiarazione che fa di Monet un killer della rappresentazione realistica . Per cogliere l’aspetto mutevole, apparente della realtà sceglie di entrare nel soggetto per rendere le caratteristiche essenziali. La sua pittura ha la consistenza materica del colore, che si afferma come tale. Fissa nelle sue tele le infinite variazioni della luce, riportando le condizioni atmosferiche e gli stati d’animo. In questo corpo a corpo con la natura e le cose, dal 1877, Monet idea le “serie”: le stazioni Saint-Lazaire, i covoni, i pioppi, le cattedrali di Rouen. Vittorio Sgarbi conferma nella libertà delle forme e nell’assenza di costrizioni di veder nelle opere della maturità dell’artista (protagonista della sesta monografia, da domani in edicola) un insieme pulsante e vivo, che invita alla contemplazione e allo smarrimento nella profondità della materia cromatica. All’infinito fatto di ninfee, acqua, luce e celo, della grande decorazione dipinta per la Francia, Monet dedica gli ultimi anni della sua vita che si conclude a Giverny nel 1926, a 84 anni. Uno spettacolo misterioso, che sembra preludere alle prime ore della nascita del mondo e che fa dire al ministro Clemenceau: “Voi ritagliate pezzetti di cielo e li gettate in faccia alla gente. Niente sarebbe così stupido come dirvi grazie: non si ringrazia un raggio di sole”. TORNA AGLI ARTICOLI