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Massimo Listri di Fabiana MENDIA

L’equilibrio delle inquadrature e la bellezza degli spazi prescelti definiscono le qualità necessarie per persuaderci che la simmetria insieme alle opzioni estetiche, oltre a essere valori in sé, portano a una classicità della fotografia che appare immediatamente e soggioga nelle immagini di Massimo Listri. L’artista fiorentino, cofondatore con Sgarbi e Ricci della rivista “FMR”, ricerca un modello di purezza lineare e architettonica esprimendo il suo sentimento di rivolta contro la folla o semplicemente la presenza, privilegiando set che sono antiche biblioteche, palazzi, monumenti, rispettando al massimo la verità storica. Rappresentazioni silenziose che non significano tuttavia fredde riproduzioni, perché nei ritratti del museo Thorwaldsen di Copenaghen, del Castello di Rivoli, dei musei Capitolini si mescolano significati contraddittori; un senso di tristezza profondo per la caducità della vita e per la l’irrecuperabilità di ciò che il tempo trattiene e la contemplazione per la magnificenza dei grandi spazi creati dall’uomo, aiutandoci ad acquisire “lo spirito visibile della Bellezza” che ci avvolge “come un mantello”.

Una trentina di immagini di Listri selezionate per inaugurare la nuova galleria di Francesca Antonacci a via Margutta 54 indagano alcuni affondi prospettici come la biblioteca di Palazzo Altieri a Roma, la Comunale di Palermo, del Duca d’Aumale a Chantilly, la galleria Ducale di Mantova. Scene che ci appaiono, semplicemente, con una intensità che prima di osservarle attraverso l’obbiettivo di Listri ci sembravano ignote e ora sono un vivaio di immagini e simboli: le comprendiamo solo nel momento in cui le osserviamo stampate, ricevendo l’esperienza completa, in quanto proiettati verso un’estasi materialistica e non trascendentale. Il privilegio di ammirare l’universo di Masimo Listri è visibile nella sua oggettività pittorica, in assenza di pubblico; si concentra sulle sale vuote dei musei e delle biblioteche, privandoli così della loro funzione primaria e li rende credibili come ambienti che si vestono di una sacralità che ci porta poi inevitabilmente a non immaginarli brulicanti di visitatori e studiosi. La sua fotografia ci mostra le contraddizioni della storia.
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