Gauguin, il mito dell'artista selvaggio di Fabiana MENDIA
Dove un uomo vedeva un albero i "primitivi" vedevano lo spirito. Un'intuizione folgorante per Paul Gauguin fin dal primo viaggio in Martinica nel 1887, alla ricerca del mondo "innocente" e dove a contatto con i comportamenti e la cultura indigena rafforza l'idea che l'immaginazione interiore è il principio primo dell'arte. Fu il precursore della libertà creativa e della concezione sperimentale della ricerca, il primo artista che ha puntato tutto sull'affermazione della sua indipendenza, in un momento storico particolare: la Francia dell'ultimo ventennio dell'800, in cui il movimento impressionista si stava esaurendo, ripudiato per le soffici e leggere atmosfere e la complessità cromatica della tavolozza.
Fu determinato nel costruirsi il "mito dell'artista selvaggio" aiutandosi con la stesura del testo "Noa Noa" (1893), a sostegno della sua opera, basata sull'identità essenziale di tutte le culture e sulle strutture comuni a ogni mente umana. Prima delle fughe organizzate dalla civiltà occidentale, Gauguin, protagonista della tredicesima monografia di Vittorio Sgarbi, da domani in edicola con "Il Messaggero", ha il tempo per dipingere "en plein air" frutteti e distese campestri ed esporre insieme agli amici impressionisti all'ottava e ultima mostra del 1886 con paesaggi dipinti nei dintorni di Rouen e di Copenhagen, la città di sua moglie Mett. L'anno prima si era rifugiato in Bretagna, nel villaggio di Pont-Aven, una comunità rurale fortemente impregnata di religiosità medievale, che sembrava in quel momento soddisfare la sua insofferenza per la modernità. Ma dura poco. Gradualmente matura l'abbandono definitivo della sua terra, dove secondo lui la borghesia si soffermava troppo sull'analisi esasperata a scapito della semplicità. Nasce il capolavoro "La visone dopo il sermone" dove fa un uso spiazzato dei rapporti proporzionali e prospettici, il disegno si appiattisce e il colore racchiuso in alveoli regolari, non imita più gli effetti di luce della natura, ma evoca uno stato d'animo.
L'incontro con Van Gogh e le conseguenze del difficile rapporto artistico ad Arles segnano da quel momento in poi la vita di Paul. Due mesi di convivenza, da ottobre a dicembre del 1885, di contaminazioni reciproche e osmosi creativa. Dopo il suicidio di Vincent nel 1890, Gauguin in cerca sempre di evasioni primitive parte per Tahiti dove spera di finire la sua esistenza. Vive circondato da indigeni e immortala paesaggi tropicali, scene di vita quotidiana permeate dal silenzio dell'incomunicabilità. Ritrae la polinesiana Teha'amana in "Donna thaitiana con il mango" e in "Manao Tupapau"; ma per ricordare quell'amicizia stroncata, nel 1901, dipinge "Girasoli su una sedia", facendosi spedire i semi della pianta dalla Francia. Le sue ansie esistenziali lo porteranno a Futuiva, abitata ancora dai cannibali. E scrive all'amico Morice, due anni prima della morte: "Spero che la natura selvaggia e la più completa solitudine possano accendere una nuova scintilla di entusiasmo". TORNA AGLI ARTICOLI