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Roberto Ferri di Fabiana MENDIA

Con tutti i sensi e le forze dell'umano e attraverso non solo il primato dell'occhio, che come l'intelletto razionale, affoga nell'indefinitezza conseguente la simultaneità sintetica dei sensi parte l'opera di Roberto Ferri, in cui si percepisce la prepotenza dell'atto della sua pittura, una furia esecutiva che va al di là delle scelte tematiche. Aurora, Sfinge, Gaia, Ade, Alcione, Urano, Dioniso, Venere e Marte, San Giovanni, Tritone, Paolo e Francesca, San Sebastiano, l'Arcangelo Michele, Menadi, La Gorgone, personaggi di fronte ai quali l'osservatore è posto brutalmente in grado di individuare che miscuglio di violenza, di angoscia, di ansia del sacro, di desiderio, di degrado, di disperazione, di ricerca d'amore, di abiezione animale c'è nella propria materia e come tutto questo sia necessariamente la materia costitutiva della bellezza. Nel ventre del Complesso del Vittoriano, nel salone centrale dell'ala Brasini, settanta tele di grandi e piccole dimensioni e quindici disegni documentano la maturità artistica del pittore nato a Talsano, frazione di Taranto, 30 anni fa, in pratica con "il pennello in mano". "A disegnare ho imparato da solo, e mi è subito riuscito bene: non facevo altro tutto il giorno -racconta in "Indagine di una vocazione" Fabio Isman, curatore del catalogo edito Skira. Uno zio, anche lui pittore, aveva un'Enciclopedia dell'Arte in 10 volumi: è stata la mia scuola. Preferivo Caravaggio e Velàzquez: li copiavo a tutto spiano". La mostra "Oltre i sensi" curata da Robertomaria Siena (docente di Storia dell'Arte dell'Accademia di Belle Arti di Roma ai tempi in cui Ferri ha frequentato l'istituzione capitolina), organizzata dalla galleria "Il cortile" di Paul Georg Deutsch, dopo la tappa al Vittoriano ad aprile 2010 sarà allestita all'Istituto di Cultura di New York diretto da Renato Miracco.

Predilige soggetti spettacolari e di forte impatto visivo che attirano lo sguardo con acrobazie, vorticismi, contorsionismi, intrecci di posizioni, avviluppamenti di “carne” in cui giovani, donne, vecchi, angeli, demoni, santi, eroi, dei, divinità si incastrano in armadi e scaffali di legno, si inseriscono nelle “macchine celibi” provenienti da un altro universo, dalla surrealtà; oppure personaggi che entrano in contatto con oggetti che scandiscono il tempo, misurano gli spazi, le distanze degli astri all’orizzonte. Roberto Ferri manipola il mito, reagisce con metafore erotiche, celebra la seduzione dell’innocenza degli angeli e delle “angelesse” con ossessione, attingendo all’universo di sollecitazioni iconiche della pittura occidentale, da Michelangelo a Delacroix. Uno studio accurato dei corpi dal vero che Ferri esercita studiando i corpi in movimento di una coppia di danzatori che fotografa per captare il reale, confermando così la sua idea che l’esperienza esistenziale non si fa con gli occhi, ma con tutti i sensi; rilevando così quello che Bacon identificava come il limite della fotografia, ovvero l’incapacità “di andare oltre la superficie delle cose”. Ma per comprendere i concetti fondamentali della sua poetica bisogna prescindere dalla ricchezza documentaria e dalla simbologia. La potenza della pittura di Roberto Ferri emerge sinteticamente nell’individualità delle sue opere, nella loro eccezionale genialità tecnica e formale.
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