Grande intuito, avvedutezza e occhio critico allenato portano lo scrittore Camillo Boito a pronunciare parole profetiche sul successo di Giacomo Favretto, che a 24 anni partecipa all’Esposizione milanese di Brera del 1873 con il quadro “La lezione di Anatomia”. Le riflessioni del critico sulla piccola tela, in cui si nota una pregiata resa cromatica e chiaroscurale da pittura olandese, chiariscono sulle idee del tempo: che “l’arte deve essere “libera, indipendente, anzi brigliata”. (…).” Lasciatela andare un po’ dove le piace”. Boito annuncia così l’esordio del giovane veneziano, allievo dell’accademia braidense di Grigoletti, Nani e Bresolin, che supererà per la solidità degli impasti materici, le pennellate sfavillanti e leggere nel ritrarre la vita esteriore e casalinga con una verità strabiliante, i pittori contemporanei, diventando ben presto tra i collezionisti italiani e stranieri l’autore più richiesto, tra gli esponenti della “moderna scuola veneziana”. Al Chiostro del Bramante, da oggi fino all’11 luglio, una raccolta di una cinquantina di dipinti di Giacomo Favretto, dagli anni della formazione, alla piena maturità e ai grandi successi degli anni ’80 dell’Ottocento, richiameranno l’attenzione di un pubblico appassionato che potrà soffermarsi, inoltre, sulla produzione coeva di interpreti del Realismo attento alla scena di genere, ai temi intimisti e “galanti”(31 opere). La mostra divisa in dieci sezioni, curata da Paolo Serafini (catalogo Silvana editoriale) raccontando le tappe fondamentali del pittore considerato dagli studiosi dell’epoca il “Longhi del XIX secolo” per la capacità di descrivere scene di vita veneziana con toni pittoreschi, introduce lo studio della nuova generazione di “veristi”, come Guglielmo Ciardi, Luigi Nono, Ettore Tito.
Sia nelle gradevolissime e movimentate messe in scena di disavventure domestiche, come nella tela della caccia a “Il sorcio”, che nelle più tradizionali rappresentazioni di nudi e studi di tonalità cromatiche, visibile in “Dopo il bagno”, il pittore veneziano attesta le sue insuperabili qualità pittoriche nella semplicità dei mezzi nel dipingere effetti veri e apparenze minute.
Nel 1878 va a Parigi, ignora gli Impressionisti e invece incontra l’anziano Meissonier, maestro assoluto nella descrizione di preziosi e intimi interni storici e lo spagnolo Mariano Fortuny, interprete di rievocazioni luministiche e virtuosistiche atmosfere settecentesche. Due anni dopo vince un premio per la tela “Poveri antichi!” e campione della venezianità artistica dipinge due scene di folla in piazza San Marco: “El Liston antico” e “El liston moderno”non portato a termine per la morte che lo colse prematuramente nel 1887. TORNA AGLI ARTICOLI