Dürer, il grande fascino dell'Itali di Fabiana MENDIA
Affetto da indiscutibile vanità e autocompiacimento, Albrecht Dürer nei numerosi autoritratti dall'età di tredici anni, si dipinge con abiti raffinati dai bordi di pelliccia o giocati su eleganti armonie di colori, che riflettono la sua aspirazione a una posizione sociale prestigiosa, che raggiungerà in pieno, quando nel 1515 realizza l'"Arco Trionfale" per Massimiliano I composto da centonovantadue litografie. Nello stesso anno il pittore, protagonista della diciannovesima monografia presentata da Vittorio Sgarbi per far conoscere le sue qualità artistiche e la sua tecnica invia a Raffaello un autoritratto eseguito a tempera su tela di bisso. Raffello ricambia mandandogli alcuni disegni. Sin dal suo primo viaggio in Italia, tra il 1494-95, all'età di ventitré anni, che lo porta soprattutto a Venezia, sede di una fiorente colonia tedesca, rimane fortemente influenzato da Giovanni Bellini e scopre il ruolo dell'artista intellettuale. Viene colpito dall'alta considerazione in cui erano tenuti i pittori e gli scultori a differenza di quanto avveniva in Germania, in cui l'artista è considerato un artigiano. "Oh, quanto più patirò il freddo sospirando questo sole! Qui mi sento un signore, a casa mia un parassita": queste parole riporta Joachin Camerarius nella prefazione all'edizione del 1532 dei libri di Dürer sulle proporzioni del corpo umano.
L'Italia gli dà coraggio. Tornato in patria apre una bottega propria e la sua attività si concentra all'inizio sulla produzione molto redditizia delle xilografie, tra cui la serie della "Grande Passione", dell'"Apocalisse" e delle incisioni. A questa data corrisponde l'incontro con Federico il Saggio che gli commissiona il ritratto e con cui stringerà una forte amicizia: nel 1518 lo invita alla Dieta di Augusta dove cerca di trovare una mediazione tra luterani e cattolici schierandosi con il grande riformatore. Esaudisce il desiderio di fama dell'illustre mecenate con l'effige su tela sottile (detta "Tuchlein", priva di imprimitura), che colpisce per l'espressione severa, lo sguardo penetrante, caratteristiche che non saranno altrettanti evidenti nelle successive immagini eseguite da Dürer e da Lucas Cranach, suo pittore di corte. Ma l'insolita raffigurazione del principe si spiega forse nel tentativo di volere applicare le antiche teorie della fisiognomica secondo cui il naso aquilino molto pronunciato denota magnanimità.
Per la sua residenza e per il castello di Wittenberg esegue l'"Adorazione dei Magi" (tra i capolavori esposti alla mostra appena conclusa sull'artista alle Scuderie del Quirinale) e la tavola dei "Diecimila Martiri". Per la prima volta compare l'autoritratto da "visitatore": nel mezzo del massacro lo riconosciamo in abiti neri, in segno di lutto per la scomparsa recente dell'amico Celtis, che gli è accanto. Si presenta come un corpo estraneo alla storia al cui interno penetra. Dimostra di avere una profonda conoscenza del corpo umano, delle sue proporzioni e delle regole prospettiche, grande maestria e senso del ritmo: come nella sequenza quasi cinematografica dei condannati che vengono fatti precipitare dall'alto della rupe. TORNA AGLI ARTICOLI