In 50 opere l'evoluzione di un genio folgorato dall'arte italiana di Fabiana MENDIA
Dalì per diventare Dalì ha studiato e amato perdutamente l'Italia e i maestri del Rinascimento e del Barocco: Raffaello, Bramante, Palladio, Michelangelo, Cellini, Bernini. Una passione che si legge chiaramente in molte opere a partire dagli anni giovanili, quando frequenta l'Accademia madrilena, fino a quelle della maturità in cui ha assimilato i colori, le forme, il plasticismo e la drammaturgia di alcuni architetti, pittori, scultori italiani, che ha potuto conoscere da vicino, durante i suoi ripetuti soggiorni nelle città d'arte e a Roma. E' una bella sorpresa per i visitatori della grande mostra Dalì.
Un artista, un genio, che si inaugura domani al Complesso del Vittoriano, scoprire, attraverso una ricca selezione di foto, documenti, lettere, dipinti, disegni, illustrazioni, filmati e oggetti surrealisti (provenienti in massima parte dal Centro Studi daliniani di Figueras) il forte legame che l'autore dell' Uomo invisibile, della Persistenza della memoria, delle Uova al tegame senza tegame e dell'Autoritratto molle con pancetta fritta, ha avuto con il nostro Paese e in particolare con la capitale. La scelta di affrontare dettagliatamente la cronologia della permanenza in Italia dell'artista catalano è stata fortemente voluta da Alessandro Nicosia, coordinatore e direttore del progetto della mostra, curata per la parte scientifica da Montse Aguer e Lea Mattarella (catalogo Skira). Entriamo nel vivo del percorso espositivo: ammirazione per i capolavori del passato, ma anche attrazione per la luce e i colori di un altro Mediterraneo.
La piana di Ampurdàn e la costa catalana da capo Creus all'Estartit, con nel mezzo Cadaqués, sono per Salvador Dalì i più bei paesaggi del mondo e i soggetti delle sue prime tele. Quella luce così particolare che fa risplendere le rocce, le baie, i villaggi dei pescatori che fanno da sfondo ai primi ritratti della famiglia e ai suoi autoritratti. Qul sole, quelle scogliere: il pittore le ritroverà, poi, visitando l'Italia. A ottobre del 1935 il Maestro parte con l'adorata Gala e il poeta e collezionista Edward James per raggiungere Ravello, l'acropoli mediterranea, dove l'amico inglese aveva affittato villa Cimbrone. L'incontro con la classicità, i fasti dell' Impero e le sculture del parco di Bomarzo sono alcuni dei temi che affascinano il visitatore nel percorrere il ritmo incalzante della spettacolare e pirotecnica retrospettiva.
Nel marzo del 1938 Dalì si trasferisce per due mesi con Gala nella città eterna: nello studio di Lord Berners che si affaccia sui Fori dipinge Impressioni d'Africa, creta dopo un breve viaggio in Sicilia. Le immagini di Dalì a Bomarzo, scattate nel 1948, lo ritraggono accanto alla Cerere gigante, in groppa all'elefante che abbatte un legionario e nella statua del Grido Pietrificato. Nel giardino progettato da Pirro Ligorio per il principe Orsini l'artista è attratto dalla sovversione delle leggi dell'ordine e della simmetria, che gli offrono spunti significativi per successive declinazioni del suo linguaggio surrealista e visionario. Lo stesso anno il pittore, grazie alla presentazione di Fabrizio Clerici, inizia a collaborare come scenografo e costumista con Luchino Visconti, regista dello spettacolo Rosalinda o Come vi piace di Shakespeare.
Le fotografie inediti visibili nella mostra al Museo del Vittoriano sono importanti anche per conoscere il personaggio Dalì, il grande comunicatore, che ha anticipato di cinquant'anni l'atteggiamento di Warhol. Gli scatti con che documentano gli incontri con i papi Giovanni XII (1949) e con Giovanni XXIII (1959) spiegano, infine, le fasi della pittura di Dalì segnate dal recupero della tradizione cattolica e dall'evidente ingresso di soggetti religiosi nei suoi quadri. TORNA AGLI ARTICOLI