Le brevi vacanze, le belle estati sul lago di Bolsena, toccando Gaeta, Formia e proseguendo per Napoli, superando Sorrento per raggiungere poi il golfo di Salerno. Oppure, scegliendo al contrario, un itinerario verso il nord della penisola, un insolito “Grand Tour” per l’inizio del ‘900, che prevedeva invece, Civita di Bagnoregio, Orvieto, Porto Santo Stefano e Livorno. Per Hendrich Cristian Andersen le pause della villeggiatura trascorse in compagnia della madre Helene, della cognata Olivia Cushing, del fratello Arthur e della sorella Lucia, rappresentavano delle occasioni fondamentali di “ricarica” esistenziale, di incontro in presa diretta con una natura che lo incantava, a volte melanconica, a volte maestosamente sublime.
Nella casa-atelier dell’artista norvegese (via P. Stanislao Mancini), l’incontro con i suoi trenta “Paesaggi e impressioni d’Italia, dal 1904 al 1940”, nella raccolta curata da Matilde Amaturo, direttrice del Museo (in collaborazione con Maila Marasco e Roberto Galasso), fanno rivivere nelle inquadrature delle marine e delle scogliere, sia nelle vedute dall’alto, le suggestioni di un sensibile e affermato artista che mentre lavorava al grandioso progetto della “città utopica”, sede di un laboratorio di idee nel campo delle arti, scienze, filosofia, religione e cultura fisica, amava dipingere il suo diario di appunti di viaggio.
Con pennellate vibranti, intrise di colori accesi e brillanti, Hendrik Andersen ha descritto le passeggiate al chiaro di luna, le arrampicate per stupirsi del mare di Capri e della Marina di Equa, ma anche le uscite in barca, durante il soggiorno a Capodimonte e le camminate solitarie per cogliere le ultime luci a Collalto Sabino e nella piana del Cavaliere